giovedì 29 settembre 2011

CÒNTUSU DE ARRIORA: "IL FIDANZATO GELOSO E IL BANDITO" di Giuseppe Mocci

A Riola, fino agli anni ‘50 del secolo scorso, i giovanotti usavano corteggiare le ragazze la domenica mattina, in piazza di Chiesa (pratza 'e crésia).
Il corteggiamento consisteva nell'ammirare le ragazze e, alcune volte, sussurrare qualche complimento, passando loro vicino. Se il complimento veniva respinto, il giovanotto ne prendeva atto e rivolgeva le sue attenzioni, la domenica successiva, a qualche altra ragazza.
Al riguardo, ricordo un episodio divertente capitato ad un giovanotto, sui 24/25 anni, un po’ bruttino, che dichiaratosi con la solita maniera ad una bellissima ragazza, ebbe un netto rifiuto con queste parole: “Bessiminchi, bruttu pudéssiu, za 'ia app’essi a frori a pigai a tia!(1).
Il giovanotto riferendo agli amici l'accaduto, candidamente concluse: “Ma chi m’ìada créffiu, si ddu fadiu bii deu chi esti su meri!(2).

Riola, piazza di chiesa

Se invece il complimento veniva gradito, la ragazza, senza fermarsi o pronunciare alcuna parola, offriva un sorriso di compiacimento. Questo sorriso era per il corteggiatore, la risposta affermativa alla sua particolare forma di dichiarazione.
Era l'inizio del fidanzamento, che si confermava la domenica successiva con un sorriso smagliante della ragazza e con un cenno affermativo col capo.
Dalla data del fidanzamento il giovanotto cominciava a costruirsi la casa e la ragazza iniziava a preparare il suo corredo. Costruita la casa, a volte anche dopo dieci anni, il giovanotto chiedeva formalmente la mano ai genitori della fidanzata. Avuto il consenso, i fidanzati potevano frequentarsi, ma in casa della promessa sposa e con buona scorta.
Altra usanza curiosa, quando due o più giovanotti incontravano una bella e prosperosa ragazza, in un posto diverso da piazza di chiesa, era quella di esclamare: “Alla… beimindi in pratza ‘e crésia!(3).
In “pratza ‘e crèsia”, infatti, i giovanotti, nel vedere le ragazze incamminarsi verso la chiesa, esprimevano il loro parere in merito alle forme fisiche apparenti delle stesse.
Se la ragazza mostrava un petto alquanto rigonfio esclamavano: “Ooh! E’ titti manna(4), se mostrava un sedere alquanto pronunciato, esclamavano: “Alla! Arratz'e moa 'e cu, beimindi in pratza ‘e crésia!(5).


Nel 1880, Riola, come pure Narbolia e San Varo, era frequentata da un Bandito, giovane e bello, ricercato dalle forze dell’ordine e sul quale era stata emessa una taglia.
Questi abitava, occasionalmente, in una antica grotta, detta “de S' Eremita de Matteu” in agro di Narbolia. In quei tempi, a Riola, come in tutti gli altri piccoli paesi della Sardegna, non c'erano i Carabinieri; qualche volta questi venivano da Oristano o da Cabras.
Il Bandito, ũ cabasusesu” (così venivano chiamati gli abitanti delle zone montuose), non era pericoloso.
Egli era spesso ospite, a cena, delle famiglie più ricche del paese o dei paesi vicini. Usava passare le giornate corteggiando le donne, nubili e sposate e, come dicevano i bene informati, spesso con successo.
A quei tempi non c’era il telefono, per cui nessuno poteva avvisare, in tempo reale, i Carabinieri per venire ad arrestarlo; dopo tutto, nessuno ci aveva mai pensato di avvisare i Carabinieri, anche perché non creava problemi di natura banditesca, anzi era il protettore delle famiglie abbienti.
Il Bandito però creò un problema di natura sentimentale ad un giovanotto riolese, fidanzato con una bella ragazza, che prestava servizio come domestica (tzaracca), presso una famiglia benestante frequentata dal Bandito.
Il giovanotto, venuto a sapere la cosa, non gradì molto, anzi, si preoccupò tanto che divenne pazzamente geloso e pensò di uccidere questo pericoloso rivale.
Ne parlò con un cugino, suo grande amico, che gli suggerì, invece, di catturarlo e consegnarlo ai Carabinieri; così facendo avrebbero anche incassato la taglia.
I due cugini, giovani, forti e coraggiosi, noti nella zona come campioni di strumpa, informarono del loro progetto i Carabinieri di Cabras.
L’innamorato geloso e il cugino, di nome Gaetano, cominciarono a controllare, a debita distanza, i movimenti del Bandito, scoprendo che questi usava andare a caccia nelle collinette vicine, a giorni alterni e sempre di mattina presto. Essi scoprirono anche che l’odiato Bandito portava in dono ai suoi amici pernici e lepri.
I due cugini, allora, decisero di attuare il piano del sequestro. Il giorno stabilito, due ore prima dell’alba, armati di fucile da caccia, partirono con una carretta e tutto l’occorrente per l’operazione.

Nuraghe di "Tzuaddĩasa"

Si fermarono nei pressi del nuraghe di “Tzuaddĩasa”, distante dalla grotta all’incirca un chilometro, poi si avviarono con le armi in spalla verso le colline, dove avrebbero dovuto incontrare la preda. 
Il Bandito, infatti, arrivò subito dopo e, incontrando i due cacciatori, li salutò gentilmente chiedendo loro: “De ue sézisi?(6). Gaetano rispose subito al saluto, ma ignorò la domanda; poi, scusandosi per il disturbo, gli chiese dove potevano andare per trovare pernici. 
Il Bandito fortunatamente si dimostrò disponibile, offrendosi di accompagnarli; perciò si avviarono lungo un sentiero per recarsi nella zona di caccia. Gaetano, come da piano prestabilito, si mise davanti, il Bandito al centro e il cugino seguiva dietro.

colline di Cadrèasa

Mentre camminavano il Bandito, forse insospettito, domandò nuovamente: “No os’appu 'idu mai, ma de ue sézisi?(7).
Egli fece appena in tempo a pronunciare l’ultima parola che Gaetano starnutì (era il segnale d’attacco convenuto), cosicché il cugino, da dietro, vibrò un fortissimo colpo col calcio del fucile al capo del Bandito e lo spinse in avanti, mentre Gaetano gli faceva lo sgambetto.
La preda era caduta nella trappola; i due cugini non faticarono molto a legarlo mani e piedi, a imbavagliarlo e a mettergli una grossa fune al collo.
Il Bandito, ripresosi, venne tirato su e condotto, come un cane al guinzaglio, al nuraghe di "Tzuaddĩasa", dove venne caricato sul carro.
I due cugini, per non correre rischi di inopportuni incontri, tagliarono molti rami di lentischio e coprirono bene la preda.
Praticamente i due apparivano raccoglitori di legna e come tali si recarono a Cabras; qui giunti si fermarono davanti alla caserma dei carabinieri, dove aprì loro la porta un carabiniere che era all’oscuro del piano di sequestro del Bandito e che impose loro di non disturbare, perché la caserma non aveva bisogno di legna.
I due cugini insistevano col chiedere del Comandante ad alta voce. Il Maresciallo, sentito il conciliabolo, uscì e riconosciuti i due finti “legnaioli” intimò al carabiniere di far entrare il carro in cortile.
Qui si concluse la libera uscita del Bandito.  Dopo un mese i due cugini incassarono la taglia, dopo aver firmato la debita ricevuta al Maresciallo; Gaetano firmò col nome e cognome, mentre il cugino traccio una croce.
Rientrati a Riola i due eroi organizzarono un gran pranzo con gli amici, senza far parola del loro atto di eroismo. Il ricavato della taglia accelerò il matrimonio di entrambi.

NOTE:
1) Allontanati, lasciami in pace, brutto puzzolente; sarei proprio malmessa a prendere te!
2) Se mi avesse voluto, gliel'avrei fatto vedere io chi è il padrone!
3) Guarda! Sembra proprio come in piazza di chiesa!
4) Ooh! Ha il seno grande!
5) Guarda che sedere!
6) Di dove siete?
7) Non vi ho mai visto, ma di dove siete?



Testo di Giuseppe Mocci - Tutti i diritti riservati

Editing G. Linzas
Revisione dialetto B.Sulas

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